mercoledì 28 marzo 2012

Blog laico


Blog laico.

Chi cerca di convincermi su qualcosa mi da fastidio. Io non cerco di convincere nessuno. Ho delle idee e le affermo in qualsiasi campo e in qualsiasi contesto, qualcuno si dice contrario, qualcuno concorda, ma la cosa non mi riguarda. Non ho una verità da diffondere od affermare su nulla. Sono convinto infatti che ci sono tante verità quante sono le teste dei viventi a questo mondo. La mia è solo una di queste verità, non ha senso che mi affanni a convincere altri a condividerla. Per questo mi piace scrivere sul blog. Ci scrivo appunto ciò che mi passa per la testa. A qualcun altro capiterà di leggermi, come a me capita di leggere tanti altri post di persone che non conosco, che non avrò mai modo di incontrare fisicamente. Qualcuno penserà che ciò che scrivo è interessante, qualcun altro che è stupido, e gli uni e gli altri passeranno oltre a cercare altri pensieri di altre persone. Qualcuno persino si attarderà a lasciarmi un commento… E’ veramente un altro mondo, rispetto a quello in cui viviamo, dominato dall’interesse a convincere gli altri. Per motivi commerciali, politici, religiosi qui tutti si affannano a convincermi a credere a ciò che affermano. Qui c’è quindi una guerra continua, commerciale, politica, religiosa. Là siamo nel laicismo più assoluto, che significa rispetto dell’altro, della sua libertà di pensiero. E se dal mondo virtuale dei blog, nascesse una nuova etica per i rapporti interpersonali anche nel mondo reale? Non è una prospettiva impossibile. E in questa prospettiva il blog non sarebbe un passatempo per perditempo, come spesso viene considerato, ma un luogo ove esercitarsi ad un nuova modalità di relazioni.
Dal modo dei blog, un nuovo modo di rapportarsi, di vivere. Dal modo dei blog una nuova “forma mentis” come base per una nuova società, fondata sul reciproco rispetto, sul riconoscimento dell’alterità come valore, della libertà come principio, della laicità come concetto dell’accettazione delle idee del nostro prossimo!!!

GIOVEDÌ 12 LUGLIO 2007

Il valore della prossimità


Sto leggendo “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger e mi ha colpito il commento del Papa alla parabola del buon samaritano (pag. 231). Mi sono trovato a riflettere su come la nostra società abbia perso valore della prossimità. Nei paesi della società contadina, tutti erano prossimi tra loro. Tutti conoscevano tutto di tutti. A volte solo per sparlare. Ma anche lo sparlare è in qualche modo condivisione. Oggi non si sa nulla neppure di chi ha l’appartamento che dà sul nostro stesso pianerottolo.
Cosa significa avere dei “prossimi”? Chi è il tuo prossimo? Alla domanda il Vangelo risponde con la parabola del samaritano. C’era un uomo ferito sulla strada, ma un sacerdote ed un levita passarono oltre. “Forse più per paura che per indifferenza” commenta il Papa. Arrivò un samaritano, un estraneo se non un nemico ed ebbe invece compassione. Traduciamo in questo modo un termine molto più forte perdendo “l’originaria vivacità del testo”: più esatto sarebbe tradurre “gli si spezzò il cuore”, continua il Papa. La vista dell’uomo ferito lo prese nelle viscere, nel profondo dell’anima.
Il valore della prossimità sta non in un atteggiamento caritatevole o assistenziale, ma nel sentire il prossimo dentro di noi, parte di noi. Il prossimo, non soltanto l’amico!
Il samaritano non è né un prete né un levita, ma è uno che ha il coraggio di essere uomo. In quanto uomo sente il prossimo come un fratello del quale non ci si può disinteressare. Perché, dice il Papa, se sei veramente uomo, l’altro, il fratello entra in te, diventa parte di te, come se fosse un elemento del tuo corpo. La ferita anche del dito mignolo è un grande dolore per tutto il corpo.
E questa non è una verità di fede, ma un discorso assolutamente laico per i laici. Il bello del libro è che per la prima volta un Papa scrive da laico.
Non è un discorso di sinistra, perché il samaritano non lascia tutto per mettersi a fare il missionario nella pretesa di salvare l’umanità. Il samaritano è un mercante, iscritto alla confcommercio se non alla confindustria, che continua a fare il suo mestiere. Ma è prima di tutto un uomo, cui si spezza il cuore quando incontra un prossimo…Possiamo immaginarci una società di mercanti ai quali si spezza il cuore? Perché no? Un ideale è sempre un punto di arrivo, non di partenza.
Anche tra le mie montagne si parla tanto di riqualificare il vivere in paese introducendo i servizi di prossimità. Sarebbe un passo importante, se attraverso i servizi di prossimità si riuscisse a reintrodurre il valore della prossimità. Il vivere in paese diventerebbe allora un modello di eccellenza per la qualità della vita.

MERCOLEDÌ 11 LUGLIO 2007

Amare i nemici?

Sto rileggendo “La mia fede” di Lev N.Tolstoj. Per l’autore di Guerra e Pace il cuore del Vangelo è nell’affermazione che si devono amare anche i nemici. Se ami chi ti ama, lo fanno tutti, la novità della dottrina di Cristo è che si deve amare anche ci odia. Ad ogni livello l’affermazione viene considerata una sorta di paradosso, e liquidata come tale. Non è certo stata questa la dottrina della religione di Cristo, in questi duemila anni di storia…
In effetti tutta la rivelazione del Vangelo potrebbe essere ricondotta a due affermazioni, la prima sul piano metafisico che l’uomo è figlio di Dio, la seconda sul piano etico, che anche nel nemico devo vedere il figlio di Dio, e quindi devo amarlo come tale. Tutto il resto della dottrina e della rivelazione discende da questi due principi.
Ma, dalle parole ai fatti, come si fa a sostenere che si devono amare anche i nemici? Credo sia necessario intendersi sul concetto di amare. Secondo l’accezione comune amare, significa condividere, entrare in sintonia. Da qui l’idea del colpo di fulmine come intuizione d’una possibile intesa. L’intesa “d’amorosi sensi”. Da qui l’idea d’un sentimento d’amore che nasce e che muore, perché muore l’intesa. Da qui la necessità sul piano sociale di prendere atto con la separazione e il divorzio che l’intesa è finita.
L’amore nell’accezione di Cristo è un’altra cosa, direi che è sinonimo non di intesa ma di accettazione. Amare il prossimo significa accettarlo, nella sua diversità da noi. Anche se l’altro cambia, modifica i suoi rapporti nei nostri confronti, fino a diventare nemico, non ha importanza. Deve restare immutato il nostro rapporto di accettazione, di amore come accettazione.
Dal piano etico al piano sociale e politico. Su questo concetto di amore come accettazione si sviluppa quello, sul piano sociale, del porgere l’altra guancia, e sul piano politico quello della desistenza, che è stato alla base del pacifismo di Gandhi, alla base della sua filosofia: rispondere al male con il bene
Ma è possibile una società fondata su questo concetto? Se sia possibile non lo so, ma è evidente che se lo fosse, in questo ci sarebbe la chiave per una convivenza umana nel rispetto laico dell’altro, dell’accettazione della diversità, ci sarebbe il presupposto e il fondamento della pace universale.
Utopia? Forse sì! Ma allora come si fa a dirsi cristiani, considerando paradosso ed utopia, la vera novità introdotta da Cristo; che vi amiate gli uni e gli altri come fratelli, che amiate anche i nemici?…
Tolstoj nota che in questi duemila anni dalla nascita di Cristo si è sviluppata una dottrina della Chiesa molto diversa e lontana dalla dottrina di Cristo. “Lo pseudocristiano non è tenuto a fare alcunché ne ad astenersi da alcunché per salvarsi, bensì tutto quello che gli occorre viene realizzato su di lui dalla Chiesa: lo battezzano, lo consacrano, lo comunicano, gli danno l’estrema unzione e persino lo confessano con una confessione sorda e pregano per lui…ed egli è salvo”.

Cristianesimo laico.

CRISTIANESIMO LAICO
Che un laico non si riconosca nella Chiesa ed in generale nelle chiese potrebbe essere, scontato. Meno scontato è che trovi nell’essere contro le chiese l’elemento fondante della propria laicità. Di fatto, c’è il rischio che enfatizzando la contrapposizione alle chiese si finisca per costruire in qualche modo una sorta di chiesa dei laici, antagonista delle altre chiese. Il problema del laico di fronte alle chiese non è quello di negare le loro non condivise costruzioni dogmatiche, da cui derivano anche altrettanto inaccettabili regole pratiche di vita. L’impegno del laico, sul versante della religione, dovrebbe essere invece quello di verificare se al di qua e prima delle chiese sia possibile immaginare una religione dei laici, una religione senza chiese.
Perchè no? Laico non è sinonimo di ateo, ma soltanto di libero pensatore. Nell’ambito della propria libertà di pensiero uno può concludere che tutto si esaurisce nel mondo, all’interno della propria limitatezza spazio temporale, un altro può invece ammettere l’esistenza d’una dimensione diversa da quello spazio temporale.
Non si tratta di dimostrare la possibilità dell’esistenza di questa diversa dimensione (il finito per definizione non può concepire l’infinito, il bruco non può immaginare la farfalla), si tratta, più modestamente, di ammettere che se anche non è dimostrabile l’esistenza, ciò non significa che in effetti non possa esistere. Si può obiettare che ogni religione deve essere verità, altrimenti non avrebbe senso. Certo! Ma perché escludere che la verità della religione, sia una verità riferita all’individuo? Esiste la bellezza perché ogni individuo ha un suo senso del bello. Esiste l’infinito perché ogni individuo, ha un suo senso dell’infinito. Infinito come verità e senso per il singolo l’individuo, non in assoluto.
Ammessa la possibilità teorica d’una dimensione oltre il finito, ci sarà chi in pratica la accetterà e chi invece la escluderà.
Nella scelta tuttavia è importante che il laico non si faccia influenzare dalle motivazioni con le quali le chiese si sono costruite l’aldilà. Se anche ci fossero delle strumentalizzazioni, al di qua o al di là di queste è possibile una scelta laica?
Se l’ammissione d’una possibile altra dimensione diventa un modo per condizionare e al limite per far sacrificare l’unica esistenza certa, quella del corpo, (come spesso è richiesto dalle religioni) la scelta di escluderla si giustifica per evitare di essere masochisti, o quantomeno per evitare di perdere il certo nella speranza d’un incerto non dimostrato. Ma se l’ammissione d’un’altra dimensione diventasse un modo per interpretare e valorizzare meglio la dimensione che stiamo vivendo, al contrario sarebbe masochistico volerla escludere.
Religione per il laico potrebbe essere quindi non escludere che possa esistere una dimensione infinita (Dio) alla quale può accedere anche l’uomo (immortalità), che sarebbe considerato quindi un essere immortale chiamato a vivere una esperienza mortale attraverso il corpo.
Il paradosso è che questa religione è già tutta nel Vangelo se riusciamo a risalire a quella che è stato l’intuizione del teologo-filosofo Jeshù se ci fermiamo a ciò che ha detto e non a ciò che è stato detto su di lui. Se soprassediamo sulla religione che è stato costruita sulla sua morte per soffermarci sulla religione che potrebbe essere costruita attorno alla vita ed alla parola-intuizione-rivelazione di Jeshù.
Ma cosa ha detto veramente questo filosofo percorrendo le strade della Palestina ai tempi di Augusto? Che l’uomo, ogni uomo, è figlio di Dio e che in quanto tale può diventare immortale. Fuor di metafora, che l’infinito genera il finito che nella coscienza del proprio esistere (anima) recupera la possibilità di tornare ad essere infinito.
Comunque, si obietta, non è tanto il problema esistenziale quanto quello etico che ha indotto l’uomo a crearsi, sin dai primi momenti della propria evoluzione, un dio ed una religione. Dio si giustifica soprattutto come il principio da cui viene la legge che consente la convivenza degli uomini. Solo il fatto che il principio sia esterno all’uomo, legittima la validità erga omnes del principio etico e quindi della legge. Se non ci fosse Dio come fonte della legge, l’uomo sarebbe condannato al dramma di doversi fare e vivere una propria legge.
Ma il filosofo palestinese ha affermato proprio questo: che l’uomo, in quanto figlio di Dio, è l’unica fonte della legge, fatta da un unico articolo: l’uomo, nel suo interesse, deve amare gli altri. Non perchè qualcuno ce l’ha insegnato, non perchè c’è Dio, non perchè così si conquista il Paradiso, ma solo perchè l’atto del dare-amare è nell’interesse di chi dà perchè rende grande l’io di chi dà. A Roma, in contemporanea, arrivava alle stesse conclusioni anche il filosofo Seneca: nemo sibi gratus est qui alteri non fuit”. (Luc. X,21).
Non più quindi, come nell’antico testamento, un popolo di Dio con una legge data da Dio attraverso l’intermediario Mosè, ma una comunità di figli, ciascuno in un rapporto esclusivo, da unigenito con il Padre, ciascuno volto al proprio interesse, che si realizza nel darsi agli altri.
Se questo è il cristianesimo può un laico essere cristiano? Direi proprio di sì, senza rinunciare a nessun aspetto della propria laicità, che deriva anche da una mentalità ed una cultura individualistica che nell’intuizione di Jeshù viene esaltata e nobilitata.
Ma questi laico-cristiani, tornando alla considerazione iniziale, come non hanno nulla da spartire con le chiese, non hanno nulla contro le chiese. Anzi! Se degli uomini figli di Dio vogliono costituirsi una loro comunità, dandosi delle proprie regole, creandosi particolari percorsi di comunione con la divinità, nulla deve impedire loro di farlo. Basta non importunino gli altri con la pretesa di convincerli che il loro percorso è l’unico possibile!
Il laico-cristiano si rifà a Jeshù anche per capire quale debba essere il percorso per comunicare con l’infinito: “quando vuoi pregare, entra in camera tua e chiudi la porta (Mt 6,6)”. Non occorre una chiesa, basta una camera, un luogo in cui riflettere, perché pregare è riflettere.
Se il laico cristiano può andare d’accordo con tutte le chiese, tanto più può trovare una intesa con i cattolici. Se questi oltre a credere al valore salvifico della Croce credono al valore salvifico del messaggio, se questi rinunciano a pretendere che lo “scandalo della croce” debba essere accettato come discriminante e provocazione contro la ragione.
Il valore dell’insegnamento dovrebbe essere lo stesso, anche se gli uni credono che l’insegnante sia morto in croce, altri invece possono arrivare a pensare persino sia morto esule in India.
Solo così la religione diventa un mezzo per fondare la pace del mondo e non, come invece avviene, si costituisce come elemento principale di scontro e di guerra. Anche questo per attuare la previsione del filosofo Jeshù che a una donna samaritana annunciava: viene il momento in cui l’adorazione di Dio non sarà più legata a questo monte o a Gerusalemme, viene un ora anzi è già venuta, in cui gli uomini adoreranno Dio guidati dallo Spirito e dalla verità di Dio.
Ma, obiettano ancora i laici, la ragione è atea, e per l’uomo del finito e del disincanto conta soltanto la scelta etica.
Certo che la ragione è atea ma, come ho già detto, non nel senso che nega l’esistenza dell’Infinito, nel senso invece che non può comprenderlo e ricomprenderlo. Ma non comprenderlo non significa negarlo. È solo poi dall’ammissione dell’Infinito che deriva la scelta etica del tu.
Non ha senso infatti dire che per l’uomo del finito conta la scelta etica. Assoluto tra il nulla ed il nulla, il finito non ha alcun motivo per privilegiare il primato del tu. È soltanto nella convinzione d’essere infinito che l’io può interessarsi del tu, non dovendo preoccuparsi di sminuire l’io, che anzi cresce nel rapporto con il tu.
Vi do un unico comandamento, assolutamente nuovo per come è motivato; non imposto da un Dio esterno, ma derivato dall’individuo nell’interesse dell’individuo, che riconosciate gli altri come fratelli.
Dall’intuizione sul piano dell’essere, deriva l’intuizione sul piano etico, una proposta radicale e rivoluzionaria che risolve allo stesso tempo il problema dell’individuo e quello della società.

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