lunedì 30 novembre 2020

 Il Perchè.

    Il pensiero occidentale nasce con la filosofia greca come ricerca del perchè delle cose. Ricerca di una legge inserita nelle cose e d'una formula nella quale poter rinchiudere la spiegazione. Ricerca di tanti perchè, a partire del perchè dell'esistenza del mondo. L'assunto è che esiste una realtà che ha origine, diviene e muore avendo in sè la spiegazione dell'origine e dell'evoluzione. Si vuole spiegare con la ragione ciò che prima si spiegava con la fantasia o con la fede. Esiodo parla di una età dell'oro, la Bibbia di un Paradiso terrestre. L'uscita dal Paradiso è conseguenza di voler usare la ragione per conoscere la differenza tra il bene e il male. Ma è quindi usando la ragione si perde anche la felicità iniziale? Penso di sì perchè prima la dimensione spazio-temporale era sentita come un momento della dimensione infinito-eternità. Non si pensava che ci potesse essere, nè che valesse la pena ricercare una spiegazione che si esaurisse nella dimensione spazio-temporale. Nascere era passare dalla dimensione infinito-eternità alla dimensione finita nel tempo e nello spazio, morire era perdere nuovamente i caratteri della finitezza per ritrovare quelli dell'infinito-eternità. La dimensione spazio-temporale non era vista e sentita come originata, e quindi diversa da quella dell'infinito-eternità, ma come un modo di essere momentaneo della stessa dimensione.
    Su questo presupposto non ha senso cercare i perchè con la ragione nello spazio temporale, cosi facendo si perde il sentimento della partecipazione alla dimensione dell'infinito-eternità, si perde la felcità originaria nell'angoscia del sentimento della propria finitezza

mercoledì 28 marzo 2012

Ama chi ti odia



Ama chi ti odia.

Casualmente m’è capitato di sentire uno di questi sabati di agosto la predica di Padre Cantalamessa nel programma “A tua immagine” di Rai Uno. Mi sono fermato ad ascoltarlo quando ha detto che avrebbe commentato la parabola del buon samaritano, e che l’avrebbe fatto seguendo il commento del Papa. Ha ricordato che samaritani e giudei erano nemici, e che attualizzando la parabola si dovrebbe parlare oggi di occidentali e africani, di palestinesi ed israeliani. Su questo non facciamo difficoltà a dargli ragione, siamo tutti convinti che il massacro nel Darfur sia uno scandalo e che Israele e Palestina trovino un intesa per diventare due Stati regolati da rapporti di buon vicinato. Non ha colto la bellezza del concetto di compassione, riletto dal Papa. Ma soprattutto non ha colto la profondità della provocazione del Vangelo. Siamo tutti infatti a favore della pace mondiale, ma non facciamo nulla per la pace nel nostro condominio, nel nostro paese…
Il problema del prossimo si complica quando scopriamo, con il Vangelo, che il nostro prossimo è quello della porta accanto con il quale abbiamo litigato. Il problema si complica quando a commento della parabola del buon samaritano colleghiamo quell’altra sulla preghiera. Se sei già entrato in chiesa, ma ti ricordi che hai del rancore, con quello della porta accanto, lascia tutto e vai prima a fare la pace con lui. Anche se sei convinto che la colpa sia sua, perché per la dottrina di Cristo, ai nemici non si deve solo perdonare, li si deve anche amare…
Te l’immagini una domenica se il parroco dicesse: “Fratelli e sorelle, non prendiamoci in giro, prima dobbiamo comportarti da cristiani e poi possiamo pregare da cristiani. Chi ha qualcosa con un suo parente, con un suo vicino esca vada a far la pace e poi ci ritroviamo qui a continuare la Messa”.
“Sì, ma è colpa lui!”. “Sì, ma è stato lui a togliermi il saluto!” “E’ lui che ha iniziato!”
“Non ha importanza, se amate chi vi ama, dice il Gesù, che merito avete? Anche i laici e gli atei lo fanno. Vi riconosceranno come miei discepoli, quando dimostrerete di sapere amare anche chi vi ha offeso, chi vi odia, quando saprete amare anche i vostri nemici”

VENERDÌ 3 AGOSTO 2007


Amare la collega?

Mi è arrivato un commemto privato al mio Blog "Amare i nemici". Lei dice "incazzata": ho una collega d'ufficio che con la sua perfidia mi ha fatto venire l'esaurimento, e dovrei anche amarla? Quale religione può pretendere una cosa del genere?
Dico io: non è un prblema di religione ma di logica. La collega è evidentemente una di quelle persone che godono e si realizzano nel fare del male agli altri. Se le dai a vedere che ha raggiunto il suo scopo avrà un orgasmo, e cercherà di farsene venire un altro alla prossima occasione di scontro con te. Se al contrario la lasci perdere, la snobbi, la perdoni, la ami...., dovrà per forza cercare un altra su cui realizzarsi. Dice il saggio. Se a chi ti assale con una spada opponi il tuo corpo, il fendente ti colpirà per la gioia di chi ti ha voluto colpire. Se schivi il fendente la spada finirà per ferire chi voleva colpirti.

SABATO 28 LUGLIO 2007


Blog laico.

Chi cerca di convincermi su qualcosa mi da fastidio. Io non cerco di convincere nessuno. Ho delle idee e le affermo in qualsiasi campo e in qualsiasi contesto, qualcuno si dice contrario, qualcuno concorda, ma la cosa non mi riguarda. Non ho una verità da diffondere od affermare su nulla. Sono convinto infatti che ci sono tante verità quante sono le teste dei viventi a questo mondo. La mia è solo una di queste verità, non ha senso che mi affanni a convincere altri a condividerla. Per questo mi piace scrivere sul blog. Ci scrivo appunto ciò che mi passa per la testa. A qualcun altro capiterà di leggermi, come a me capita di leggere tanti altri post di persone che non conosco, che non avrò mai modo di incontrare fisicamente. Qualcuno penserà che ciò che scrivo è interessante, qualcun altro che è stupido, e gli uni e gli altri passeranno oltre a cercare altri pensieri di altre persone. Qualcuno persino si attarderà a lasciarmi un commento… E’ veramente un altro mondo, rispetto a quello in cui viviamo, dominato dall’interesse a convincere gli altri. Per motivi commerciali, politici, religiosi qui tutti si affannano a convincermi a credere a ciò che affermano. Qui c’è quindi una guerra continua, commerciale, politica, religiosa. Là siamo nel laicismo più assoluto, che significa rispetto dell’altro, della sua libertà di pensiero. E se dal mondo virtuale dei blog, nascesse una nuova etica per i rapporti interpersonali anche nel mondo reale? Non è una prospettiva impossibile. E in questa prospettiva il blog non sarebbe un passatempo per perditempo, come spesso viene considerato, ma un luogo ove esercitarsi ad un nuova modalità di relazioni.
Dal modo dei blog, un nuovo modo di rapportarsi, di vivere. Dal modo dei blog una nuova “forma mentis” come base per una nuova società, fondata sul reciproco rispetto, sul riconoscimento dell’alterità come valore, della libertà come principio, della laicità come concetto dell’accettazione delle idee del nostro prossimo!!!

GIOVEDÌ 12 LUGLIO 2007


Il valore della prossimità


Sto leggendo “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger e mi ha colpito il commento del Papa alla parabola del buon samaritano (pag. 231). Mi sono trovato a riflettere su come la nostra società abbia perso valore della prossimità. Nei paesi della società contadina, tutti erano prossimi tra loro. Tutti conoscevano tutto di tutti. A volte solo per sparlare. Ma anche lo sparlare è in qualche modo condivisione. Oggi non si sa nulla neppure di chi ha l’appartamento che dà sul nostro stesso pianerottolo.
Cosa significa avere dei “prossimi”? Chi è il tuo prossimo? Alla domanda il Vangelo risponde con la parabola del samaritano. C’era un uomo ferito sulla strada, ma un sacerdote ed un levita passarono oltre. “Forse più per paura che per indifferenza” commenta il Papa. Arrivò un samaritano, un estraneo se non un nemico ed ebbe invece compassione. Traduciamo in questo modo un termine molto più forte perdendo “l’originaria vivacità del testo”: più esatto sarebbe tradurre “gli si spezzò il cuore”, continua il Papa. La vista dell’uomo ferito lo prese nelle viscere, nel profondo dell’anima.
Il valore della prossimità sta non in un atteggiamento caritatevole o assistenziale, ma nel sentire il prossimo dentro di noi, parte di noi. Il prossimo, non soltanto l’amico!
Il samaritano non è né un prete né un levita, ma è uno che ha il coraggio di essere uomo. In quanto uomo sente il prossimo come un fratello del quale non ci si può disinteressare. Perché, dice il Papa, se sei veramente uomo, l’altro, il fratello entra in te, diventa parte di te, come se fosse un elemento del tuo corpo. La ferita anche del dito mignolo è un grande dolore per tutto il corpo.
E questa non è una verità di fede, ma un discorso assolutamente laico per i laici. Il bello del libro è che per la prima volta un Papa scrive da laico.
Non è un discorso di sinistra, perché il samaritano non lascia tutto per mettersi a fare il missionario nella pretesa di salvare l’umanità. Il samaritano è un mercante, iscritto alla confcommercio se non alla confindustria, che continua a fare il suo mestiere. Ma è prima di tutto un uomo, cui si spezza il cuore quando incontra un prossimo…Possiamo immaginarci una società di mercanti ai quali si spezza il cuore? Perché no? Un ideale è sempre un punto di arrivo, non di partenza.
Anche tra le mie montagne si parla tanto di riqualificare il vivere in paese introducendo i servizi di prossimità. Sarebbe un passo importante, se attraverso i servizi di prossimità si riuscisse a reintrodurre il valore della prossimità. Il vivere in paese diventerebbe allora un modello di eccellenza per la qualità della vita.

MERCOLEDÌ 11 LUGLIO 2007

Amare i nemici?


MERCOLEDÌ 11 LUGLIO 2007


Amare i nemici?

Sto rileggendo “La mia fede” di Lev N.Tolstoj. Per l’autore di Guerra e Pace il cuore del Vangelo è nell’affermazione che si devono amare anche i nemici. Se ami chi ti ama, lo fanno tutti, la novità della dottrina di Cristo è che si deve amare anche ci odia. Ad ogni livello l’affermazione viene considerata una sorta di paradosso, e liquidata come tale. Non è certo stata questa la dottrina della religione di Cristo, in questi duemila anni di storia…
In effetti tutta la rivelazione del Vangelo potrebbe essere ricondotta a due affermazioni, la prima sul piano metafisico che l’uomo è figlio di Dio, la seconda sul piano etico, che anche nel nemico devo vedere il figlio di Dio, e quindi devo amarlo come tale. Tutto il resto della dottrina e della rivelazione discende da questi due principi.
Ma, dalle parole ai fatti, come si fa a sostenere che si devono amare anche i nemici? Credo sia necessario intendersi sul concetto di amare. Secondo l’accezione comune amare, significa condividere, entrare in sintonia. Da qui l’idea del colpo di fulmine come intuizione d’una possibile intesa. L’intesa “d’amorosi sensi”. Da qui l’idea d’un sentimento d’amore che nasce e che muore, perché muore l’intesa. Da qui la necessità sul piano sociale di prendere atto con la separazione e il divorzio che l’intesa è finita.
L’amore nell’accezione di Cristo è un’altra cosa, direi che è sinonimo non di intesa ma di accettazione. Amare il prossimo significa accettarlo, nella sua diversità da noi. Anche se l’altro cambia, modifica i suoi rapporti nei nostri confronti, fino a diventare nemico, non ha importanza. Deve restare immutato il nostro rapporto di accettazione, di amore come accettazione.
Dal piano etico al piano sociale e politico. Su questo concetto di amore come accettazione si sviluppa quello, sul piano sociale, del porgere l’altra guancia, e sul piano politico quello della desistenza, che è stato alla base del pacifismo di Gandhi, alla base della sua filosofia: rispondere al male con il bene
Ma è possibile una società fondata su questo concetto? Se sia possibile non lo so, ma è evidente che se lo fosse, in questo ci sarebbe la chiave per una convivenza umana nel rispetto laico dell’altro, dell’accettazione della diversità, ci sarebbe il presupposto e il fondamento della pace universale.
Utopia? Forse sì! Ma allora come si fa a dirsi cristiani, considerando paradosso ed utopia, la vera novità introdotta da Cristo; che vi amiate gli uni e gli altri come fratelli, che amiate anche i nemici?…
Tolstoj nota che in questi duemila anni dalla nascita di Cristo si è sviluppata una dottrina della Chiesa molto diversa e lontana dalla dottrina di Cristo. “Lo pseudocristiano non è tenuto a fare alcunché ne ad astenersi da alcunché per salvarsi, bensì tutto quello che gli occorre viene realizzato su di lui dalla Chiesa: lo battezzano, lo consacrano, lo comunicano, gli danno l’estrema unzione e persino lo confessano con una confessione sorda e pregano per lui…ed egli è salvo”.

RTEDÌ 23 DICEMBRE 2008


Gesù nella storia.

E' Natale. Il giorno nel quale si ricorda la nascita di Gesù. Ma è nato veramente il 25 dicembre? Quando? Il 4 avanti Cristo? Ma alla fine questa ricerca storica dove ci porta. Che sia veramente esistito o che si tratti di una favola non fa differenza. Anche le favole soo state inventate per trasmettere una morale. E in questo caso ciò che importa è proprio la morale, il messaggio! "Che gli uomini sono fratelli, "figli" di Dio, che si deve amare l'altro anche quando ci è nemico. Queste cose si dovrebbero ricordare a Natale. Queste sono le cose che si cerca di mettere in evidenza nel romanzo "La verità ci rende liberi", la favola appunto di un Gesù che non muore in croce:

http://www.boopen.it/acquista/ricercaopera.aspx?m=1&s=igino%20piutti

A tutti gli internauti capitati per caso in questo sito l'augurio che la gioia del Natale diventi il seme per la felicità dell'Anno Nuovo.


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MERCOLEDÌ 19 NOVEMBRE 2008


Amare Dio


"Dio è stanco di cercare l’uomo!". Così si espresso recentemente nell’omelia ad un funerale il mio parroco. Quale bestemmia nei confronti dell’onnipotenza di Dio!.. Ma in fondo è offesa a Dio anche l’affermazione che Dio “cerca l’uomo”. L’infinito non ha evidentemente nessuna necessità di cercare e di ritrovarsi nel finito. E’ al contrario il finito che dovrebbe trovare il modo di realizzarsi, cercando l’Infinito, sentendosi parte dell’Infinito. E’ questo in fondo il senso profondo della preghiera. Una riflessione sull’Infinito che è in noi, per costruire la nostra vita in questa prospettiva.
L’amore degli uomini verso Dio, se avesse un senso implicherebbe per converso un bisogno di Dio dell’amore degli uomini. Ma Dio Infinito ed onnipotente non ha bisogno evidentemente di alcunché. Per questo il comandamento di Gesù è amate i fratelli, non amate Dio. Amerete Dio implicitamente, aiutando i fratelli a riconoscere l’Infinito che è in ognuno di loro.
La preghiera ha quindi due facce da un lato è un gesto concreto verso i fratelli, dall’altro è una riflessione su noi stessi per riconoscerci partecipi dell’infinito e per misurare quindi gli atti concreti della vita di ogni giorno, alla luce di questa prospettiva.
E’ questo, a mio avviso il messaggio dei Vangeli (la verità che ci rende liberi!)che ho cercato di interpretare nella ricostruzione fantastica della vita di Gesù nel romanzo, del quale riporto la copertina.
"La verità ci rende liberi" - Edizioni Boopen (www.boopen.it)

DOMENICA 26 OTTOBRE 2008


I due Gesù.


Scrive Michael Burer che " il Gesù della storia in alcun modo non può essere ritenuto uguale e coesistente al Gesù della fede". Il mio romanzo si sviluppa invece sul presupposto di questa coesistenza. Esistevano al tempo due Jeshù. Uno zelota soprannominato il Nazireno perchè aveva fatto voto di nazireato, che si proponeva di liberare con le armi Israele. L'altro esseno che si faceva chiamare "figlio del Padre" in aramaico Bar Abba, perchè sosteneva che ogni uomo è figlio di Dio, figlio del Padre. Pilato, come racconta il Vangelo, ha concesso la libertà a Jeshù Bar Abba, cioè al predicatore del nuovo rapporto tra Dio e l'uomo...

Non so se le cose siano andate veramente così. Ma questo mi consente di introdurre come protagonista Pilato, il laico che rappresenta ogni uomo alla ricerca della verità. Aveva posto a Gesù la domanda "Che cosa è la verità?" senza ottenere risposta. Sta ora cercando di avere questa risposta. Alla fine la trova nella frase con la quale si chiude il romanzo "La verità ci rende liberi" che dà il titolo al romanzo.

DOMENICA 12 OTTOBRE 2008


Gesù non muore in croce.


Nel romanzo "Quid est veritas, che cosa è la verità" che ho scritto ed autopubblicato con Boopen, (acquistabile al sitohttp://www.boopen.it/) Gesù non muore in croce.

L’espediente letterario serve a sottolineare come il messaggio di salvezza non si debba cercare nella morte, ma nelle parole, nella rivelazione… Pilato il protagonista del romanzo, dopo aver salvato il nuovo profeta, vorrebbe riuscire a sapere da lui, quale sia la verità sull’uomo. Quale sia il senso della rivelazione, che ha posto alla base della sua predicazione, per la quale l’uomo, come figlio di Dio, è destinato alla vita eterna. Mentre Saulo, sulla vita del profeta, costruisce una nuova religione, la domanda di Pilato, come quella d’ognuno di noi, resta senza risposta.

Il romanzo che si era aperto con la domanda sulla verità, si chiude con la risposta “la verità ci rende liberi”. Ma è una risposta che non esaurisce in nostro bisogno di verità sul senso della nostra vita…
Riporto di seguito la prefazione del libro.

Se il titolo non fosse già stato utilizzato, avrei voluto intitolare il romanzo “Ipotesi su Gesù”.
Presentando una versione, se non inedita almeno inusuale delle vita di Gesù, il mio intento non è stato infatti quello di ricercare una nuova verità sulla vita del personaggio storico, e ancora meno di affermare che è sbagliato tutto quanto si è detto e scritto sul personaggio in questi duemila anni. La mia è solo una ipotesi, per immaginare quali potrebbero essere le conclusioni alle quali si potrebbe giungere, sulla base della simulazione proposta.
Se Cristo non fosse morto, cosa ne sarebbe del cristianesimo? Oppure quale sarebbe il cristianesimo, se il suo fondatore non fosse stato crocefisso? Non avremmo una religione fondata sull’idea d’un Dio che redime l’umanità dal peccato originale, attraverso il sacrificio in croce del figlio fattosi uomo. Avremmo, al contrario, un religione fondata soltanto sulle idee che Cristo ha predicato.
Idee che comunque fanno già parte della dottrina cristiana, si potrebbe obiettare. Ma l’ipotesi serve a verificare (o meglio a suggerire di verificare) se l’enfasi posta su ciò che Gesù ha fatto, non abbia portato in secondo piano, ciò che ha detto ed insegnato.
L’ipotesi consente in secondo luogo di verificare se l’attenzione su ciò che ha fatto, non abbia portato anche a stravolgere o quantomeno a forzare la trascrizione di ciò che ha detto, per far coincidere le parole con l’immagine del personaggio che si voleva rendere.
Una ipotesi come questa, si potrebbe obiettare ancora, avrebbe dovuto portare a sviluppare un saggio, non un romanzo.
Il saggio tuttavia si sarebbe proposto di dimostrare. Io invece voglio soltanto suggerire che ci potrebbe essere una lettura diversa, sia dei fatti che delle parole. Il mio suggerimento diventa quindi un invito ad una rilettura personale dei testi, che ci sono stati tramandati sulla vita di Gesù, sia quelli canonici che quelli definiti apocrifi, per arrivare ad una propria ricostruzione del personaggio che, anche a prescindere da come appare oggi agli occhi della fede cristiana, è stato quello che ha determinato e condizionato tutta la storia e la cultura occidentale.
Ma perché immaginare che non sia morto in croce? Perché l’idea del sacrificio in generale, ed a maggior ragione l’idea del sacrifico del figlio di Dio, attiene alla sfera del sacro, ed il sacro non si discute, ma si deve accettare per fede. Perché di fronte all’evento di Dio che sacrifica il figlio, per redimerci dal peccato originale, non ci può essere discussione, ma soltanto devota e totale gratitudine. Il fatto è talmente al di fuori della ragione dell’uomo, che non può essere discusso, ma accettato o rifiutato sulla base della fede.
Invece al di qua del sacrificio, siamo al di fuori del sacro, siamo quindi sul piano delle parole, che possono essere interpretate e discusse. Al di qua, si può anche immaginare di poter ricostruire le parole, che non sono state tramandate, perché qualcuno le ha ritenute non coerenti con l’idea del sacro.
Più che un romanzo una provocazione!
Forse sì. Tuttavia nel senso più positivo del termine. Tra chi accetta senza discutere e chi rinuncia a discutere a priori, considerando l’argomento senza interesse, la provocazione a partecipare ad una discussione, sull’origine del pensiero dal quale si è sviluppata la cultura cristiana, nella quale siamo nati, e che, ci piaccia o no, è la nostra cultura di occidentali.




DOMENICA 21 SETTEMBRE 2008


Religione da professare o testimoniare?


Spesso la lettura d’un libro porta a considerazioni che non sono strettamente legate con i contenuti. Mentre sto leggendo il non facile “Rompere l’incantesimo, la religione come fatto naturale di Daniel C.Dennet sono finito a ripetere una riflessione tra religione e politica che forse non ha nulla a che vedere con le tesi sostenute nel libro.
La religione può essere creduta e professata o testimoniata. La chiesa che gestisce la religione non ha nessun interesse a che qualcuno (la politica) si intrometta a discutere su come la fede debba essere testimonita. Non c’è nessun bisogno di cattolici adulti. E’ preferibile il rapporto con politici che credono e professano e poi non si interessano del piano della testimonianza, sul quale loro stessi fanno ciò che vogliono. E’ importante che si professino i valori dell’indissolubilità del matrimonio, dell’unità della famiglia, poi nella realtà Berlusconi, Casini ecc. fanno ciò che gli riesce meglio. Ma alla chiesa va bene così…
Quando Prodi o la Bindi si propongono con l’immagine del cattolico adulto, si rivolgono comunque ad una minoranza, oggi il popolo si divide in atei-agnostici e devoti. Intelligentemente Berluscono devotamente bacia la mano al Papa e paga le decime alla Chiesa ed alla scuola cattolica. Se poi fuori si comporta tutt’altro che da devoto, dove sta il problema? Non è proprio anche per questo un modello per tanti italiani che fanno della doppia vita un modo di essere?

SABATO 20 SETTEMBRE 2008


La morale di Eugenio Scalfari.


Scrive Euenio Scalfari in “L’uomo che non credeva in Dio” che la vita dell’uomo è regolata da due istinti quello della sorpavvivenza individuale e quello della sopravvivenza della specie. Da quest’ultimo istinto deriverebbe l’etica. Se così fosse non ci sarebbe nessuna differenza tra l’uomo e l’animale. L’animale più dell’uomo risente dell’istinto di sopravvivenza della specie, e si dovrebbe dire quindi che l’animale ha un fortissimo senso della morale.
A mio parere le cose stanno in altri termini. Nell’evoluzione del mondo, la specie uomo, è riuscita ad arrivare alla “coscienza di sè”. E’ riuscita a mangiare all’albero della conoscenza delle differenze. Tra il bene ed il male, ma tra la notte ed il giorno, tra il bianco e il nero. Per l’animale che non ha coscienza di sè, non esiste differenza, tutto, (come lui stesso), è un fatto naturale.
Ma la coscienza di sè, del proprio esistere, nei confronti del mondo in evoluzione, è ciò che l’uomo ha da sempre chiamato Dio. Mentre il mondo diviene, dentro e fuori dal mondo, una entità E’, non diviene. Questo esistere giustifica e regge il divenire dell’universo.
Acquisendo la coscienza di esistere, in qualche modo l’uomo è riuscito a far parte di questa Entità, metaforicamente a diventarne figlio. Mentre muore il corpo, la coscienza di sè, resta eterna, come eterna e’ l’Entità di cui è diventata parte.
La metafora del figlio, portandoci sul piano del rapporto tra persone ci distrae dal concetto. Se invece definiamo l’Entità, come il Vuoto, l’altro rispetto a ciò che è fisico, mi riesce più facile immaginare un vuoto da cui è fatto anche il pieno. La fisica stessa ci dice che siamo fatti per l’80% di vuoto. Ma senza quel vuoto tra gli atomi e tra i protoni non ci sarebbe nessuna realtà fisica. Senza l’Essere non ci sarebbe il divenire. Ma conclusa la stagione del divenire vissuta nel corpo, si torna nell’Essere, mantenendo la coscienza della propria individualità, di ciò che si è stati nello stato del divenire.
Raggiungendo la coscienza di sè, l’uomo ha raggiunto la capacità di pensare, di elaborare idee che non sono più dipendenti dalla realtà. Ha acquisito la capacità di vivere la realtà dell’essere e non solo quella dell’avere. Vivere per essere e non per avere è ciò che distingue l’uomo dall’animale, è il valore dell’etica. Ci sono uomini che si sacrificano per avere, altri che si sacrificano per essere. Gli uni per la proprietà, gli altri per una idea. Se accettiamo questa distinzione, può aver senso sperare e lottare per un mondo nel quale gli uomini valorizzino la propria umanità vivendo per l’essere. Ha senso vivere per l’essere! Nella visione di Scalfari, la morale finisce per essere un modo di vivere degli uomini in fuga da sè stessi, quando constatano la propria incapacità a realizzarsi sul piano dell’avere. L’alibi per i falliti!!!

MARTEDÌ 16 SETTEMBRE 2008


Essere-Avere e..Religione.


A margine della lettura di “Rompere l’incantesimo – la religione come fenomeno naturale” di Daniel C.Dennett.

Come dice E.Fromm l’uomo può vivere per essere o per avere. Vive per avere quando resta sul piano animale che si realizza appunto nell’avere. L’animale che accumula prede indipendentemente da quante gliene servono. Non riuscendo a consumarle, vive in mezzo alle prede in putrefazione, beandosi del lezzo che emanano le carogne che marciscono…
Sul piano dell’Essere l’uomo si realizza inseguendo le idee. Dall’idea dell’armonia della famiglia a quella dell’educazione dei figli, o alle idee più elevate di libertà, di giustizia, della pace. Per queste idee l’uomo è anche disposto a sacrificare ciò che ha di più importante, la vita. Non riesce a capire come si possa vivere godendosi il lezzo delle carogne, come chi vive accumulando prede non riesce a capire come ci si possa perdere ad inseguire ideali.
Alla religione cioè al riconoscere l’esistenza d’una dimensione diversa da quella umana, si può arrivare sia dal piano dell’essere che dell’avere. Dal piano dell’avere, anche la religione sviluppa l’idea di possesso: religione come richiesta di un intervento esterno a mio favore ed in mio aiuto: prego qualcuno per avere qualcosa. Dal piano dell’essere invece la religione si sviluppa come ampliamento dell’essere o del dare. La religione dei missionari ad esempio è per eccellenza religione del dare, fino a dare la vita per la religione. La religione dei contemplativi è per eccellenza la religione dell’essere. Il proprio finito, nella contemplazione dell’Infinito si amplia in esso, fino ad annullarsi come finito per confondersi con l’Infinito.
Il tutto può essere rappresentato con la favola rivista della cicala e della formica. L’una tutta l’estate canta canta, l’altra lavora all’interno del formicaio ad accumulare. Alla fine dell’estate, deposte le uova, muoiono entrambe. A primavera si schiuderanno le uova e continuerà la specie. In questa prospettiva ha più senso la vita della cicala o quella della formica?

SABATO 22 MARZO 2008


Le radici cristiane.

Sul corriere di oggi Sevenrino duetta con Tremonti sulle radici cristiane. chiedendosi se si debba credere nelle radici cristiane o nella modernità e nella tecnica
M a che cosa ci si riferisce esattamente quando si parla di radici cristiane? E’ radice cristiana una politica condizionata dalla Chiesa? O è radice cristiana il richiamo all’evangelico “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Deve condizionare la politica internazionale la radice cristiana per la quale la Chiesa cattolica si ritiene universale ? Dobbiamo impostare la poltica economica sulla radice per la quale si deve considerare il mondo una “terra di esilio” una “valle di lacrime” in attesa di una futura liberazione?..
A mio avviso, la radice essenziale del cristianesimo è il mito (o il fatto storico!) di Dio che si fa uomo, che nobilita quindi la vita umana, come percorso per diventare figli di Dio, destinati alla vita eterna. Radice cristiana è quindi l’idea degli uomini fratelli, figli di Dio, cioè essenti derivati dall’Unico Essere, elementi finiti derivati dallo stesso Infinito.
Su questa radice-concetto possiamo costruire un sistema di vita che valorizza la persona che si sta realizzando nel mondo, sul piano dell’essere e non su quello dell’avere, per raggiungere la massima qualità del proprio essere da vivere nell’eternità. E’ un concetto sul quale si possono trovare tutti gli uomini, laici e devoti, credenti e non credenti indipendentemente dalla religione che ritengono di voler praticare.
In questo senso le radici cristiane possono essere riprese come radici su cui impostare un nuovo modo di vivere e realizzare la personalità individuale di costruire un sistema di relazioni sociali e politiche.

DOMENICA 16 MARZO 2008


Aborto e rispetto della vita.

Avevo letto per caso su “Tempi” un breve articlo intitolato “Chissà cosa diceva Dio ai primitivi delle caverne che guardavano il suo cielo alla luce rossa del fuoco” e ero convinto d’ aver incontrato in Marina Corradi una scrittrice di una sensibilità intensa sul tema della ricerca di Dio. In internet ho voluto conoscere qualcosa di lei ed ho scoperto che scrive normalmente su “Avvenire”. Cercando allora qualcosa di lei su questo giornale mi sono imbattuto in un suo fondo sul tema della difesa della vita prima del concepimento. Ed è stata una grande delusione!
Conoscevo e frequentavo una volta in una Comunità di disabili una donna di 42 anni, in carrozzella dalla nascita, progressivamente sempre più impedita nei suoi movimenti (muoveva ormai soltanto i muscoli della faccia!) ma perfettamente lucida. Mi chiedeva: “Perchè i miei genitori non mi hanno lasciato morire, quando si sono resi conto che non ero normale. Per seguirmi hanno fatto un inferno della loro vita, e la mia vita è stata ed è un inferno. Se mi avessero lasciato morire, non avremmo sofferto inutilmente nè io nè loro...” Perchè non consentire ad una madre una scelta d’amore così drammatica e terribile? Perchè ostacolarla, se non la si vuol aiutare, perché renderle più drammatica e gravosa la decisione? Perché metterle degli impedimenti legali! Vorremmo addirittura che il tragico gesto d’amore fosse considerato e punito come un omicidio...C’era l’uomo primitivo con “una indicibile meraviglia nel petto” alla ricerca di Dio. Poi si sono innalzate le cattedrali e s’è perso lo sguardo incantato dell’uomo su Dio. Allo stesso modo c’era un rapporto immediato dell’uomo con la natura. E la natura aveva le sue regole, lasciava morire chi non era in grado di sopravvivere. Poi è arrivata la scienza ed è riuscita a far sopravvivere anche chi per la natura sarebbe morto. Ora siamo in grado di scoprire prima della nascita chi è per natura destinato ad una “vita d’inferno” come dice la mia amica. Perchè dobbiamo costringere una madre a vivere lei ed far vivere ad un figlio una “vita d’inferno”? Perché non lasciare a lei, alla madre, a colei che porta in grembo la vita, di decidere se vuole o meno che quella vita arrivi alla coscienza di esistere?
Questo mi pare infatti problema! E’ vero che l’embrione è una vita già ai primi giorni, ma è vita come è quella di un animale di una pianta. Ciò che distingue la vita umana da quella animale è la coscienza di sé (l’anima se così si vuole). Si uccide un uomo quando si uccide un essere che ha la coscienza di esistere. Si uccidono migliaia di uomini ( e soprattutto di bambini) ogni giorno, quando in Africa tante persone coscienti di esistere vivono il dramma della coscienza di non poter sopravvivere. E non c’è moratoria che tenga!.
La Chiesa che oggi difende l’embrione sin dal concepimento, perché non ha mai pensato alla cerimonia del funerale degli aborti spontanei. Erano e sono vite che la madre, suo malgrado, è costretta a perdere, con grande sofferenza sia fisica che morale! Neppure al funerale dei nati morti si è mai pensato. Nessuno si scandalizza e chiede una moratoria per impedire che questi corpicini sono equiparati a "rifiuti ospedalieri". Anzi, per la Chiesa, persino i nati vivi, ma morti prima del battesimo, non potevano avere posto nel luogo “benedetto” del cimitero. Non c’è una contraddizione anche in questo?

MERCOLEDÌ 6 FEBBRAIO 2008


La verità per il laico.


Discutono in questi giorni sul “Corriere” Severino e Magris su quale debba essere la definizione di laico. Se sia adeguata la definizione del laico come uomo che sa distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che è oggetto di fede. Sono d’accordo con Severino sulla inadeguatezza, perché il dubbio deve riguardare anche il fatto che si possa distinguere tra fede e ragione. Definirei laico chi crede non esista la verità e in questo Gesù è il primo dei laici. Quid est veritas gli chiede Pilato, ma Gesù non risponde, come a dire che non c’è risposta: che non esiste la verità. Non esiste la verità sul piano spaziale perché esistono tante verità quanti sono gli uomini che pensano, non esiste sul piano temporale perché non è più verità quella di cento anni fa, ma spesso non è verità per me quella che ieri ritenevo tale. Non esiste la verità sul piano della ragione ma neppure su quello della fede perché Dio non è qualcosa di dato ma una ricerca. Il finito non può percepire l’Infinito può solo cercarlo. Laico e quindi uno che crede sia il modo di essere degli uomini quello di cercare. Non può essere ateo, perché non può assumere la verità della “non esistenza”, ma non può essere neppure “devoto” perché non può accettare esista una verità rivelata. Non ha religione perché non può avere un rapporto con un Dio dato, ma allo stesso tempo è autenticamente religioso nella sua ricerca dell’Io Sono, che poi è ricerca su “che cosa sono” e quindi sul senso vero della propria vita.
Il laico Gesù, quando afferma che si deve a Dio ciò che è di Dio ed a Cesare ciò che è di Cesare, distingue semplicemente il piano dell’essere da quello dell’avere: due impegni che per l’uomo devono restare distinti..

MARTEDÌ 22 GENNAIO 2008


Atei devoti.

Nell’ossimoro atei-devoti usato da Scalfari, i due termini sembrano alternativi e invece costituiscono le due facce della stessa medaglia. L’uomo di fede è un uomo alla ricerca di Dio. Una ricerca che non può esaurirsi, perché il finito non può trovare l’Infinito. L’Infinito non può che restare la speranza di un incontro con il senso vero della propria esistenza. Un incontro che può avvenire nella dimensione umana o in un'altra dimensione. La speranza di una risposta sul senso assoluto della vita, mentre cerco risposte relative e contingenti, sviluppando relazioni interpersonali, sviluppando una carriera di lavoro, cercando di approfondire la conoscenza del mondo e degli altri. C’è chi, come l’ateo, ha abbandonato la ricerca nella convinzione che non possa avere alcun esito, perché Dio non esiste. C’è invece chi, come il devoto, l’ha abbandonata perché ha trovato un Dio a sua misura, che dà risposte ai suoi bisogni nel quotidiano. Gli uni e gli altri hanno in comune il fatto di avere rinunciato alla ricerca dell’Infinito, alla speranza di infinito che dà un diverso senso , un senso vero, alla vita dell’uomo.

MARTEDÌ 8 GENNAIO 2008


Gino o Igino, buon onomastico!!!

Buon onomastico da un Igino a tutti gli Igino ed anche ai Gino del mondo. L’onomastico può essere l’occasione per chiedere l’intercessione del santo protettore di cui si porta il nome. Nel nostro caso, può diventare alla rovescia, l’occasione per rivendicare il ruolo del santo protettore, per riconoscersi in un santo che ha avuto la disgrazia di essere al posto giusto nel momento sbagliato. In questo mi sono sempre sentito in linea con il mio santo protettore… Non so se altri Igino o Gino possano lamentare la stessa cosa…
Diventare papa non è cosa da poco! Oggi chi è papa viene riconosciuto come autorità anche dai non cattolici. Igino purtroppo divenne papa troppo presto. Era il nono dopo S.Pietro, e i papi non li portavano ancora in giro per le basiliche con la sedia gestatoria, anzi il nostro protettore dovette subire “gloriosamente” il martirio nella persecuzione dell’imperatore Antonino, non si sa esattamente come, comunque risulta che sia stato ucciso e che il suo corpo sia inumato nel Sepolcreto Vaticano. Questa sembra sia stata la sua effigie:

Alla ricerca di qualcosa di più su di lui sono entrato su internet in quel mercatino globale costituito da E-bay, ed ho trovato in vendita persino una sua reliquia. Purtroppo per il destino di essere al posto giusto nel momento sbagliato, quando sono arrivato io, la reliquia era già stata venduta. Era una reliquia del 1700 forse messa in opera da un altro Igino come me, che non accettava da avere come protettore un santo anonimo, e si era inventato una reliquia. L’avrei comunque voluta acquistare, e spero l’abbia fatto un altro Igino, a me è rimasta solo la foto che alla quale rimando come portafortuna per tutti gli Igino del mondo.

http://cgi.ebay.it/RELIQUIA-RELIC-RELIQUARY-SAN--IGINO-PAPA-MARTIRE_W0QQitemZ220182243748QQcmdZViewItem

Confesso che la storia di Igino papa e martire mi ha fatto sempre incavolare. Possibile che a uno che è stato papa ed ha avuto anche la disgrazia di diventare martire, non sia stata dedicata neppure una Chiesa, in giro per il mondo. Non dico una basilica ma almeno una piccola chiesetta di campagna!… Ho trovato che a Roma gli hanno dedicato una strada, ma mi pare troppo poco…
L’ingiustizia tocca anche i santi! C’è un San Floriano che era un centurione romano, e poi è finito martire, e si ritrova una infinità di chiese dedicate e di pale d’altare nelle quali viene ritratto con un secchio a spegnere gli incendi. Ma possibile che a San Igino non sia venuto in testa che doveva fare qualche miracolo se voleva restare nella memoria del popolo? Poteva curare la peste come S. Rocco, se non voleva fare il pompiere come S.Floriano…Invece sì è limitato a fare il filosofo, ed ai filosofi, si sa, va già bene quando non vengono contestati e bruciati su qualche rogo…
Eppure da quel che risulta, pur avendo avuto solo quattro anni di pontificato, dal 138 al 142, ha avuto un ruolo importante nella storia della Chiesa. Ha organizzato la gerarchia distinguendo i vari ruoli di presbitero, diacono e suddiacono. Ha introdotto nel sacramento del battesimo la figura del padrino e della madrina… Ti pare poco? Ma non ha spento nessun incendio, non ha guarito nessun appestato…così non ha trovato nessuno che lo dovesse ringraziare costruendogli una chiesa, dedicandogli una ancona, o una pala d’altare…
Carissimi omonimi, converrete che si tratta di una grande ingiustizia! A me, confesso, questo nome non è che mi sia mai piaciuto. Ma il nome è qualcosa come il Dna, te lo ritrovi così com’è, che ti piaccia o no. Se poi ti è stato dato per sbaglio, pazienza! A me infatti per asse ereditario, toccava il nome di Luigi. Vista la mia dimensione iniziale (che non si è modificata con il tempo!) a qualcuno è parso esagerato quel nome, ha quindi pensato di ridurlo in Luigino. A questo punto una mia zia (così mi ha raccontato, orgogliosa!) ha avuto un colpo di genio ed ha pensato ad una ulteriore riduzione eliminando le due lettere iniziali, ed è stato così che sono finito a portare il nome d’un santo che con Luigi non aveva nulla a che fare. E’ un nome che non è piaciuto neppure ai Papi. Il suo successore infatti si chiamò Pio, ed altri poi hanno preso lo stesso nome fino al XII del secolo scorso. Igino invece è rimasto solo lui, primo ed ultimo…
Carissimi omonimi non so se è capitato anche a voi qualcosa del genere. Comunque, sia come sia, il motivo per cui ci chiamiamo Igino o Gino, dobbiamo fare qualcosa per riabilitare il nostro santo protettore. Io non riesco a digerire l’idea che anche tra i santi possa esistere tanta ingiustizia! Uno ha mille chiese solo perché ha un secchio in mano ed un altro invece che ha inventato i suddiaconi, il padrino e la madrina del battesimo, non ha neppure un altare ! Per l’11 gennaio chiedendo aiuto al nostro santo protettore, pensiamo a cosa fare perché venga ricordato più degnamente!!!….
Comunque chiediamogli che cerchi di riabilitarsi anche lui, facendoci almeno la grazia di non farci trovare sempre, come lui, al posto giusto nel momento sbagliato!!!